mercoledì 11 ottobre 2023

"La prima notte di quiete" di Valerio Zurlini

 Parlando di registi cinematografici italiani, penso che Valerio Zurlini (Bologna, 19 marzo 1926 – Verona, 26 ottobre 1982) meriti di essere celebrato così come viene fatto per altri esimi cineasti (Rossellini, De Sica, Visconti, Fellini ecc.). Il regista bolognese diresse almeno 4 film annoverabili tra i migliori in assoluto della storia del cinema italiano; in quanto sceneggiatore, Zurlini seppe creare storie fantasiose e appassionanti; non comune fu anche la sua bravura nello scegliere determinati attori per i ruoli di protagonisti dei suoi lungometraggi; fu lui che fece conoscere dei giovani artisti praticamente sconosciuti, che poi intrapresero delle carriere brillantissime. L'opera cinematografica zurliniana di cui vorrei parlare ora, anche perché, per l'ambientazione che la caratterizza si addice - soltanto in teoria - alla stagione attuale, è La prima notte di quiete, del 1972. In sintesi, il film racconta la travagliata e contrastata storia d'amore tra un professore di lettere ed una studentessa. I luoghi in cui si svolge la vicenda (una Rimini grigia e piovosa), i risvolti psicologici dei personaggi principali, l'eccellente colonna sonora di Mario Nascimbene e la trama intrigante con l'inatteso, drammatico finale rendono questa pellicola di un'intensità tale che è difficile non farsi coinvolgere; malgrado la lunga durata (più di 2 ore), La prima notte di quiete è un film da vedere almeno una volta. Il titolo altro non è che una frase dello scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, che così volle descrivere la morte. Sonia Petrova è il nome della bellissima attrice francese che interpreta Vanina: la studentessa del liceo classico riminese, fredda e distaccata, di cui s'innamora Daniele: il professore supplente di lettere che nel film è impersonato da Alain Delon (un uomo disilluso che non crede più nel suo lavoro d'insegnante). La Petrova non ebbe molta fortuna nel mondo del cinema, e dopo essere stata scelta, nello stesso 1972, da Luchino Visconti per una parte nel film Ludwig, nel giro di pochi anni diradò le sue apparizioni sul grande schermo. Fece comunque una discreta carriera come attrice televisiva negli Stati Uniti. Delon, invece, ebbe un rapporto di lavoro contrastato con il regista Zurlini, tant'è che i due si presero anche a male parole. Pure, il "sex symbol" francese ha dichiarato che La prima notte di quiete è stato uno dei migliori film della sua carriera da attore. Altri ottimi attori che hanno partecipato a questa opera filmica sono: Salvo Randone (nel ruolo del preside del liceo), Lea Massari (amante di Daniele), Adalberto Maria Merli (fidanzato di Vanina), Giancarlo Gianni (amico di Daniele), Renato Salvatori (altro amico), e Alida Valli (madre di Vanina).



Titolo: La prima notte di quiete

Nazione: Italia

Anno: 1972

Genere: Drammatico

Regia: Valerio Zurlini

Cast: Alain Delon, Sonia Petrova, Giancarlo Giannini, Salvo Randone, Alida Valli, Adalberto Maria Merli, Fabrizio Moroni, Liana Del Balzo, Claudio Trionfi, Carla Mancini, Krista Nell, Sandro Moretti.

Durata: 132 minuti.

domenica 8 ottobre 2023

"A Hong Kong è già domani" di Emily Ting

 A volte, per realizzare un bel film basta poco: un paio di bravi attori, buone idee per una trama semplice ma che indaga in profondità i pensieri ed i sentimenti di due individui, ed un luogo che possiede un fascino non comune. Questi elementi sono tutti presenti nel lungometraggio intitolato "A Hong Kong è già domani", uscito nelle sale durante il 2015, diretto dalla regista statunitense Emily Ting e interpretato dai due attori principali: Jamie Chung e Bryan Greenberg. La Chung, nella storia filmica è Ruby: una giovane americana di famiglia cinese, che si trova ad Hong Kong per lavoro; Greenberg è invece Josh, anch'esso statunitense, già residente da dieci anni nella città asiatica. I due s'incontrano per caso, perché la ragazza, perdutasi per le strade di Hong Kong, vede l'uomo e pensa possa aiutarla a trovare la strada dove si deve recare. Dopo un'iniziale diffidenza della ragazza, in seguito alla disponibilità dell'uomo che si offre di accompagnarla fino al punto d'arrivo, i due fanno un percorso cittadino insieme, cominciando a parlare di vari argomenti e scoprendo che tra di loro esiste una simpatia reciproca. Ma dopo un po' di tempo, la ragazza decide di allontanarsi dall'uomo, che gli aveva confessato di aver lasciato la sua ragazza ad una festa di compleanno dove anche lui doveva andare. Casuale, come il primo incontro è anche il secondo che avviene in un traghetto che attraversa la baia di Hong Kong, circa un anno dopo. L'uomo e la ragazza (lui ha circa 35 anni e lei una trentina), questa volta stanno insieme per più tempo, ed hanno l'occasione di conoscersi più approfonditamente; entrambi hanno delle relazioni non semplici e non ben definite con dei partner che non compaiono mai. Alla fine della giornata Josh convince Ruby, titubante, a recarsi insieme a lui in un locale dove si esibisce un gruppo musicale americano; lì, mentre i due stanno ballando, nasce qualcosa che va al di là di una semplice amicizia; l'arrivo di un'amica della ragazza di Josh interrompe quel momento idilliaco, e induce Ruby a riflettere su ciò che gli sta accadendo. Infine i due se ne vanno alle rispettive case insieme, in un taxi, e lì seduti, si confessano le loro incertezze sui sentimenti che stanno provando; in pratica, stanno rimettendo in discussione i rispettivi rapporti coi partner, perché quella sera, dopo il loro secondo incontro è cambiato qualcosa. Il film s'interrompe sul più bello, ovvero quando Ruby giunge davanti alla sua abitazione (Josh invece ancora deve proseguire il trasporto), e, riluttante, non sa se scendere o rimanere con l'uomo che ora, evidentemente ama. È un finale insolito, che non diminuisce il valore del film, perché dà la possibilità allo spettatore d'immaginare o perfino di decidere il proseguo della vicenda (io, per esempio, ho intuito che Ruby sarebbe rimasta nel taxi con Josh). Per il resto, come ho detto all'inizio, si tratta di un bel film, semplice e, potrei dire, d'impianto teatrale (quasi tutta la storia vede protagonisti soltanto l'uomo e la donna, che dialogano tra di loro camminando o sostando in luoghi pubblici). Ovviamente la buona riuscita del film si è verificata grazie alla bravura dei due attori principali (che non conoscevo). Se esistono altre pellicole memorabili che, con le dovute differenze, assomigliano a questa di Emily Ting, e che io ho già visto, mi vengono in mente sia "Breve incontro" (1945) di David Lean, che "Innamorarsi" (1984) di Ulu Grosbard. In entrambi i lungometraggi citati, s'incontrano un po' per caso un uomo ed una donna non giovanissimi, che hanno già delle relazioni ben definite (sono quasi tutti sposati), e dopo il fatale incontro scoprono di non aver provato mai sensazioni così intense, che fanno nascere amori inattesi e passionali, e rimettono in discussione il loro passato, rischiando seriamente - in alcuni casi - di mandare all'aria intere famiglie. Però, a differenza di questi film del passato, in "A Hong Kong è già domani" non c'è un tale livello di drammaticità, perché entrambi i protagonisti non hanno una relazione stabile, e nessuno dei due è sposato o con figli. Tante altre cose vorrei aggiungere riguardo a questo bel film, ma mi limito a dire due parole sull'ambientazione della vicenda: la citta di Hong Kong, vista esclusivamente nelle ore serali e notturne, che ha un fascino particolare, di una città decisamente moderna e piena di attrattive.


Titolo: A Hong Kong è già domani

Nazione: USA-Hong Kong 

Anno: 2015

Genere: Sentimentale

Regia: Emily Ting

Cast: Jamie Chung, Bryan Greenberg, Richard Ng, Sarah Lian, Lawrence S. Dickerson, Ines Laimins, Joshua Wong, Zach Hines, Linda Trinh

Durata: 75 minuti.


lunedì 21 agosto 2023

Cinque grandi film italiani che terminano col suicidio del (o della) protagonista

 L'estremo gesto che nasce dall'estrema disperazione, la follia che si raggiunge quando si è varcato il muro altissimo che delimita il nostro primordiale istinto alla vita e che ci spinge a cercare la morte. Tutto questo e altro ancora è stato argomento di vari libri e di vari film, si pensi al romanzo "Fuoco fatuo" ( "Le feu follet", 1931) di Pierre Dreu La Rochelle e all'omonimo film (1963) di Louis Malle. Qui in particolare voglio parlare di cinque ottimi film di grandi registi italiani che terminano col suicidio del o della protagonista.

Andando in ordine cronologico, il primo è "Germania anno Zero" (1948) di Roberto Rossellini, è questo anche il film più tragico del regista romano, che lo girò poco tempo dopo aver perso il figlio a causa di una malattia. È la tristissima storia di un ragazzino tedesco che si ritrova a vivere nella Germania del secondo dopoguerra, precisamente a Berlino, dove diviene vittima di situazioni nate dal degrado fisico e materiale e da una povertà enorme; tutto ciò, unito ad una condizione famigliare decisamente problematica, spinge l'adolescente verso il suicidio. Di un a tragicità altissima è l'ultima parte del film, in cui il protagonista cammina per le strade di Berlino che riflettono una città distrutta, morta, annientata da tutti i punti di vista.

A circa dieci anni di distanza dal film di Rossellini, esce nelle sale italiane "Il grido" (1957) uno dei primi lungometraggi di Michelangelo Antonioni. È la vicenda disperata di un uomo che si allontana dalla sua donna perchè questa non lo vuole più e si trova a vivere in luoghi che non riconosce come suoi, incontra donne con cui non riesce ad instaurare un rapporto duraturo; quindi, sconsolato, ritorna nel posto da cui era partito e qui si getta da una torre davanti agli occhi della sua ex amante. Si tratta di una storia che potrebbe essere riportata benissimo ai tempi di oggi, e che vede prevalere quel non-sentimento alla base della trilogia che di lì a poco avrebbe realizzato il regista lombardo: l'incomunicabilità. Il paesaggio padano che trasmette nello spettatore una desolazione profonda, ben si addice alla trattazione di questa notevole opera cinematografica.

Nel 1965 il pubblico italiano può assistere all'opera cinematografica più importante del regista Antonio Pietrangeli: "Io la conoscevo bene", storia di una ragazza che dalla provincia toscana si trasferisce nella capitale italiana e qui, dopo aver svolto molti mestieri senza mai riuscire a realizzarsi e dopo aver conosciuto parecchi personaggi squallidi, tipici approfittatori che la corteggiano per bassi scopi, si accorge della sua totale estraneità rispetto alla società (in verità assai meschina) che la circonda, e, non potendo più tornare indietro, decide di farla finita gettandosi da un balcone. Pietrangeli, ancora una volta ha voluto raccontare la vicenda di una donna, questa volta però il finale è certamente più drammatico rispetto agli altri suoi film, che mai si erano conclusi con un suicidio. La disperazione della protagonista (una bravissima Stefania Sandrelli) non sembra trapelare se non negli ultimissimi minuti della pellicola quando, quasi senza pensarci troppo, la giovane donna compie il gesto estremo lasciando lo spettatore disarmato e sconcertato. 

L'idealismo portato alle estreme conseguenze è quello che emerge in "San Michele aveva un gallo", film dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani datato 1973, che è da considerarsi come uno dei capolavori dei due cineasti. Giulio Manieri, interpretato ottimamente da Giulio Brogi, è un anarchico italiano che, insieme ad alcuni suoi seguaci, intraprende un'incursione armata per conquistare un paese e per portare la popolazione dalla sua parte, la cosa però non gli riesce e viene arrestato. Allora inizia un lungo periodo di prigionia, trascorso dal rivoluzionario in isolamento completo; gli ideali però non lo abbandonano anche in questa fase difficile e grazie ai suoi sogni sempre vivi riesce a superare i momenti più deprimenti. Un giorno però Manieri viene prelevato dalla sua cella per esser trasferito in un altro carcere; mentre viaggia ammanettato su un imbarcazione attraverso la laguna, si accorge che, a poca distanza dalla sua, c'è un'altra barca in cui viaggiano alcuni prigionieri politici. Inizia un dialogo che permette a Manieri di capire il pensiero politico di questi prigionieri, simile ma non uguale al suo, si accorge di essere ormai vecchio e che i suoi ideali sono sorpassati; allora, non trovando più motivi validi per restare in vita, avendo sacrificato la sua esistenza solo e soltanto alla consacrazione del suo pensiero politico, approfitta di un momento di distrazione della guarda presente nella sua barca per gettarsi in acqua e annegare. 

Infine ecco una pellicola di un regista napoletano Mario Martone che rende omaggio ad un altro insigne napoletano: Renato Caccioppoli (1904-1959), il film s'intitola "Morte di un matematico napoletano" (1992) e descrive gli ultimi giorni del professore ormai devastato dall'alcol e da una depressione che nella vicenda filmica non si palesa mai completamente, anche se la figura di Caccioppoli risulta certamente complicata e insondabile. Importante è questa pellicola che pone l'attenzione sull'ultima parte della vita di uno studioso partenopeo certamente poco conosciuto; bravo è l'attore Carlo Cecchi che lo impersona. Improvvisa e per certi versi scioccante appare la decisione, da parte di Caccioppoli, di morire sparandosi un colpo di rivoltella. 




ELENCO DI CINQUE FILM CHE SI CONCLUDONO COL SUICIDIO DEL (O DELLA) PROTAGONISTA


"Germania anno Zero" (1948) di Roberto Rossellini.

"Il grido" (1957) di Michelangelo Antonioni.

"Io la conoscevo bene" (1965) di Antonio Pietrangeli.

"San Michele aveva un gallo" (1973) di Paolo Taviani e Vittorio Taviani.

"Morte di un matematico napoletano" (1992) di Mario Martone.


mercoledì 13 luglio 2022

"Agenzia Riccardo Finzi praticamente detective" di Sergio Corbucci

 

Non è un film straordinario, pure si riesce a vedere, grazie all'innata simpatia di Renato Pozzetto, all'immediata comicità di Enzo Cannavale (che qui ha una parte piuttosto importante) e alla presenza di alcune belle attrici dell'epoca: Simona Mariani, Lory Del Santo e Olga Karlatos. Sufficiente la regia di Bruno Corbucci (che ha certamente diretto film migliori), e buona la colonna sonora dei fratelli De Angelis. La storia è ispirata ad un romanzo di Luciano Secchi (più conosciuto con lo pseudonimo di Max Buker): Agenzia investigativa Riccardo Finzi; non ne sono sicuro, perché non ho mai letto il libro di Secchi, ma penso che la storia raccontata nel film non abbia seguito più di tanto la trama del romanzo dello scrittore milanese, perché in presenza di attori come Pozzetto e Cannavale, è naturale seguire strade più libere, e fare in modo che l'estro di attori eccezionali emerga senza vincoli. Tra gli altri attori che compaiono in questa pellicola, ricordo anche Silvano Tranquilli, Barbara De Bortoli (nel ruolo di una bambina dispettosa) e Elio Zamuto.

 

Titolo: Agenzia Riccardo Finzi praticamente detective

Nazione: Italia

Anno: 1979

Genere: Giallo/Commedia

Regia: Bruno Corbucci

Cast: Renato Pozzetto, Enzo Cannavale, Olga Karaltos, Elio Zamuto, Silvano Tranquilli, Simona Mariani, Barbara De Bortoli, Adriana Facchetti, Luca Sportelli, Lory Del Santo

Durata: 115 minuti.

giovedì 7 luglio 2022

"Breve incontro" di David Lean

 

Questo è un film che lascia il segno; anzi, ritengo sia il migliore tra quelli che hanno come argomento principale i sentimenti umani. Per comprendere meglio ciò di cui la pellicola tratta, si potrebbe leggere la poesia Les passantes, di Antoine Pol, che poi divenne una canzone grazie a Georges Brassens (e, in lingua italiana, grazie a Fabrizio De Andrè). La poesia, come il film, parla dei possibili, fatidici incontri che, nella vita di un uomo o di una donna, possono verificarsi casualmente e inaspettatamente. Ma se nei versi di Pol questi incontri si sono dimostrati fuggitivi e inconcludenti, nel film, grazie ad una serie di eventi favorevoli, divengono estremamente importanti. Così, per caso, un uomo e una donna di mezza età, già sposati e con figli, s’incontrano in una stazione che frequentano spesso, ed hanno anche modo di conoscersi, fino a capire che sono fatti l’uno per l’altra. Da quel momento, entrambi si rendono conto che la loro passata vita amorosa non ha più alcun valore, poiché i sentimenti che ora provano sono di gran lunga più intensi. Però, ben presto, sopravviene l’amarissima consapevolezza che il loro amore, così passionale e meraviglioso, non può avere alcun futuro. La donna è la prima a comprenderlo, e chiede all’amante di aiutarla a lasciarlo. Ma subito dopo l’ultimo addio, è proprio la stessa donna che non riesce a sopportare il definitivo distacco, e soffre così intensamente da desiderare la morte immediata. C’è da considerare che il film uscì nel 1945: quasi un secolo or sono. In quel periodo esisteva un modo di pensare assai diverso da quello odierno, e, lasciare la propria famiglia, sebbene per motivi plausibili, riconducibili alla nascita di un nuovo travolgente amore, era ritenuto più che scandaloso; per questo i due, pur consapevoli di provare sensazioni nuove, straordinarie e irripetibili, decidono con estrema riluttanza di lasciarsi, rinunciando, in sostanza, alla felicità. Ottime le interpretazioni dei due protagonisti e, direi, eccezionale la regia di David Lean.



 


Titolo: Breve incontro

Nazione: Gran Bretagna

Anno: 1945

Genere: Sentimentale

Regia: David Lean

Cast: Celia Johnson, Trevor Howard, Cyril Raymond, Noel Coward, Joyce Carey.

Durata: 86 minuti.

sabato 2 luglio 2022

"Bersaglio di notte" di Arthur Penn

 

Un detective privato accetta l'incarico datogli da una ex attrice vedova, di ritrovare la figlia sedicenne fuggita da alcuni giorni ma, proprio mentre si sta dedicando alle prime ricerche, scopre che la sua compagna lo sta tradendo. Continua comunque a svolgere il suo lavoro e, dopo qualche tentativo andato a vuoto, riesce a rintracciare la ragazza, che vive in Florida con l'ex amante della madre. Quindi si reca sul posto e fa ulteriori scoperte.

E' un film che merita di essere visto, per la storia che si dipana in modo imprevedibile e che presenta un finale che lascia delusi, forse, ma che certo non è il solito lieto fine di tanti film americani; ma va visto anche per la solita bravura di Gene Hackman e per la presenza di una giovanissima Melanie Griffith, che interpreta la minorenne scomparsa; quando girò questo film, l'attrice newyorchese forse non aveva ancora compiuto diciotto anni, e, da quanto mi risulta, è anche la prima parte importante della sua gloriosa carriera. Per quanto riguarda la regia di Arthur Penn (diresse Anna dei miracoli, Gangster story e Piccolo grande uomo), questo è uno dei suoi lungometraggi migliori, come il successivo Missouri, uscito nel 1976.

 

Titolo: Bersaglio di notte

Nazione: Stati Uniti

Anno: 1975

Genere: Drammatico

Regia: Arthur Penn

Cast: Gene Hackman, Susan Clark, Jennifer Warren, Edward Binns, Harris Yulin, Melanie Griffith, John Crawford, Kenneth Mars, Janet Ward, James Woods, Anthony Costello.

Durata: 95 minuti.

venerdì 1 luglio 2022

"Trilogia del terrore" di Dan Curtis

 

Sono tre episodi. Nel primo, una professoressa apparentemente tutta d'un pezzo, cade nella trappola tesagli da uno studente; nel secondo episodio, due sorelle completamente diverse si contrastano fino alla morte; nel terzo, una donna torna a casa con un regalo per il suo fidanzato che compie gli anni: un pupazzo estremamente brutto che raffigura un cacciatore preistorico e che, come è scritto su un foglio, potrebbe tornare a vivere.

Nato come prodotto televisivo, Trilogy of terror è diventato, col tempo un cult movie. Sinceramente non ne comprendo il motivo, visto che il primo episodio può anche salvarsi, ma il secondo risulta scontato fin dall'inizio, e il terzo è semplicemente ridicolo, col pupazzo che si anima e, assetato di sangue attacca furiosamente la povera donna, la quale, alla fine, si ritroverà posseduta dall'anima sanguinaria del cacciatore. Comunque è senz'altro brava Karen Black, protagonista femminile in tutti e tre gli episodi citati. Infine un aneddoto: ricordo che questo film fu trasmesso dalla Rai in prima serata nella seconda metà degli anni '70; poiché l'annunciatrice disse che la visione era consigliata ad un pubblico adulto, i miei non mi permisero di vederlo e mi costrinsero ad andare nella mia camera. Ridicolo anche questo: il film non possiede nulla di terrificante.

 

Titolo: Trilogia del terrore

Nazione: Stati Uniti

Anno: 1975

Genere: Horror

Regia: Dan Curtis

Cast: Karen Black, Robert Burton, John Karlen, George Gaynes, Jim Storm, Kathryn Reynolds, Gregory Harrison, Tracy Curtis, Orin Cannon

Durata: 72 minuti.