giovedì 20 dicembre 2018

"Black Christmas (Un Natale rosso sangue)" di Bob Clark


La storia si svolge in una cittadina canadese, pochi giorni prima di Natale. In una pensione per giovani studentesse, a seguito di strane e inquietanti telefonate anonime avvengono una serie di omicidi misteriosi, che coinvolgono le ragazze stesse; un commissario in gamba cerca in tutti i modi di identificare l'assassino seriale, ma non può minimamente prevedere che quest'ultimo si trovi proprio all'interno della pensione.
Vidi per la prima volta questo film da ragazzo - forse non ero ancora maggiorenne -, credo, in un canale locale, e ne rimasi subito entusiasta. Posso ben dire che sia uno degli horror che mi hanno veramente terrorizzato e che mi sono rimasti più impressi. La storia è molto originale e piena di colpi di scena (su tutti il finale, che, sostanzialmente, fa saltare tutte le sicurezze fino ad allora raggiunte). Poco noti gli attori che vi partecipano, a parte Olivia Hussey, che qualche anno dopo sarebbe stata scelta da Franco Zeffirelli per interpretare la Vergine Maria in Gesù di Nazareth. Ho saputo che Un natale rosso sangue è considerato un capolavoro del suo genere e che, piuttosto di recente, è uscito un remake che conferma l'importanza di questo film.


Titolo: Black Christmas (Un Natale rosso sangue)
Nazione: Canada
Anno: 1974
Genere: Horror
Regia: Bob Clark
Cast: Olivia Hussey, John Saxon, Keir Dullea, Margot Kidder, Andrea Martin, Marian Waldman, James Edmond, Dough McGrath, Art Hindle, Lynne Griffin
Durata: 110 minuti.

mercoledì 5 dicembre 2018

"A Venezia... un dicembre rosso shocking" di Nicolas Roeg


Voglio parlare di questo film bellissimo, non soltanto perché si addice alla stagione odierna (è da qualche giorno iniziato dicembre) e non solo perché, pochi giorni fa, è venuto a mancare colui che lo ha diretto, ovvero il cineasta inglese Nicolas Roeg; ne voglio parlare perché mi è rimasto particolarmente impresso, così come altri film ambientati nell'atmosfera magica e malinconica di Venezia. L'ho visto per la prima volta all'incirca un anno fa, quasi per caso, e, la settimana scorsa, l'ho visto di nuovo, rimanendone ancora impressionato favorevolmente. La storia parla di una coppia britannica: John Baxter e Laura Baxter - interpretati rispettivamente da Donald Sutherland e Julie Christie - che si ritrova a Venezia nell'ultimo mese dell'anno, poco tempo dopo aver perso, a causa di un imprevedibile incidente, la figlioletta. Il loro soggiorno nella città lagunare, che trova motivo nel fatto che John è un restauratore e sta lavorando in una chiesa del luogo, ha una svolta mistica nel momento in cui s'imbattono in due signore scozzesi, una delle quali, non vedente, riesce a percepire la presenza di anime morte ed è capace, seppure in parte, di prevedere eventi futuri. Da quel momento in poi accadono cose sinistre - tra le quali una serie di omicidi - e decisamente singolari, che coinvolgeranno in maniera diretta anche i due protagonisti. Ciò che colpisce, di questa pellicola, è la serie di simbolismi che racchiude; per esempio il colore rosso, che, a mo' di sventura, ricompare ogniqualvolta entra in scena la morte di qualcuno; o alcuni oggetti come un bambolotto senza vestiti trovato da John Baxter sul bordo di un canale, oppure la trave che cede all'interno della chiesa e che cadendo colpisce alla spalla John, col rischio di farlo precipitare nel vuoto; o ancora la figura della signora cieca, che, come John, ha il dono soprannaturale di prevedere fatti tragici; infine, la città stessa, qui proposta in una visuale inedita: fredda, desolata, insidiosa e onirica. Difficile stabilire a quale genere appartenga questo film, che possiede i requisiti del thriller, dell'horror, e anche del fantastico. Ci sono delle scene che non si dimenticano, come quella in cui John si vede passare davanti la moglie vestita a lutto - che in quel momento non si trovava a Venezia - e le due signore scozzesi, a bordo di un motoscafo predisposto per i funerali; o quella in cui lo stesso John si trova davanti il terrificante viso della maniaca, che lo colpisce a morte. Insomma, un film da vedere e rivedere. Un plauso infine a tutti gli attori che vi compaiono, tra i quali ce ne sono anche italiani; su tutti, spicca Donald Sutherland, in una delle sue migliori interpretazioni di sempre.



Titolo: A Venezia... un dicembre rosso shocking
Nazione: Gran Bretagna/Italia
Anno: 1973
Genere: Thriller/Horror
Regia: Nicolas Roeg
Cast: Donald Sutherland, Julie Christie, Hilary Mason, Clelia Matania, Massimo Serato, Leopoldo Trieste, Renato Scarpa, Bruno Cattaneo, David Tree, Giorgio Trestini, Ann Rye, Sergio Serafini.
Durata: 110 minuti.

martedì 27 novembre 2018

"Un tranquillo posto di campagna" di Elio Petri


Leonardo Ferri è un pittore molto inquieto che vive a Milano e che rimane vittima di una sorta di crisi artistica, dalla quale cerca scampo rifugiandosi in una villa abbandonata nella campagna veneta. Qui, mentre prova a creare qualcosa di nuovo e di diverso, viene a conoscenza di eventi passati che condizioneranno negativamente la sua permanenza in quel luogo.
Si potrebbe quasi definire un film sperimentale, ed è certamente visionario, stralunato e intenso. Non deve meravigliare più di tanto che il regista sia Elio Petri, visto che aveva diretto, tre anni prima di questo, un altro film anomalo nella sua carriera da cineasta: La decima vittima. Ma, a differenza di quella appena citata, questa è un'opera perfettamente riuscita, dove i colori vivi e la storia avvolta nel mistero la fanno da padrone; è anche un film dai risvolti sorprendenti, i cui esiti è impossibile prevedere. Ottimo, nel ruolo dell'artista pazzoide, Franco Nero; pure, se la cava molto bene, nella parte della compagna di Leonardo, l'attrice inglese Vanessa Regrave. L'ambientazione è semplicemente meravigliosa e le musiche di Ennio Morricone sono irriconoscibili, forse perché inconsuete rispetto ad altri film. Concludendo, si può senz'altro affermare che il secondo esperimento di Petri sia totalmente riuscito, e che questo film è senz'altro tra i suoi migliori.



Titolo: Un tranquillo posto di campagna
Nazione: Italia/Francia
Anno: 1968
Genere: Drammatico
Regia: Elio Petri
Cast: Franco Nero, Vanessa Redgrave, Gabriella Grimaldi, Georges Géret, Valerio Ruggeri, Madeleine Damien, Rita Calderoni, Renato Menegotto, . David Mansell, John Francis Lane, Sara Momo, Arnaldo Momo, Giulia Menin, Bruna Simionato, Graziella Simionato, Mirta Simionato, Giuseppe Bello, Camillo Besenzon, Marino Biagiola, Otello Cazzola, Onofrio Folli, Piero De Franceschi, Costantino De Luca, Umberto Di Grazia, Renato Lupi, Elena Vicini.
Durata: 105 minuti.

giovedì 8 novembre 2018

"Le strelle nel fosso" di Pupi Avati


Probabilmente è il primo film di Pupi Avati in cui la poesia conta più di tutto il resto; da qui in avanti il regista emiliano girerà una serie di pellicole dove il lato poetico della storia è quasi sempre prevalente, e sarà anche il miglior periodo di Avati, che evidentemente aveva acquisito e fatta sua la lezione di un grande cineasta italiano quale fu Ermanno Olmi. La storia raccontata somiglia ad una favola, ed è quella di quattro fratelli che vivono in una casa spersa nella campagna padana, insieme al vecchio padre vedovo. La moglie del patriarca morì in seguito alle fatali conseguenze dell'ultimo parto. I quattro ragazzi vivono un'esistenza primitiva, spensierata e giocosa, fino al momento in cui casualmente entra nella loro casa una ragazza che si è persa nelle vicinanze. Sia il padre che i ragazzi, inizialmente sorpresi e incuriositi, la accolgono con grande generosità, facendola divenire, col tempo, una della famiglia. Quando il vecchio padre sentirà vicina la sua fine, deciderà, col consenso della ragazza, di celebrare cinque matrimoni, facendo diventare quest'ultima, moglie di tutti i componenti della famiglia. Ma la sera delle celebrazioni accadrà qualcosa che nessuno poteva prevedere. Il film, come già detto, è arricchito da molti momenti di pura poesia e da racconti fantastici che, probabilmente, appartengono alla tradizione popolare emiliana. Il finale è enigmatico, ma fino a un certo punto. Molto belle sono le musiche di Amedeo Tommasi, perfettamente inserite nel contesto della vicenda. La regia di Pupi Avati è superlativa e gli attori principali, che sono Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Carlo Delle Piane e Giulio Pizzirani - praticamente il gruppo caro al regista, che era già comparso e comparirà ancora per molto tempo nei suoi film -, si dimostrano più che all'altezza del compito affidatogli.

Titolo: Le strelle nel fosso
Nazione: Italia
Anno: 1978
Genere: Drammatico
Regia: Pupi Avati
Cast: Lino Capolicchio, Carlo Delle Piane, Roberta Paladini, Gianni Cavina, Giulio Pizzirani, Fernando Pannullo, Ferdinando Orlandi, Adolfo Belletti.
Durata: 105 minuti.

CITAZIONE
Tanti anni fa, viveva, in una casa isolata in mezzo all'acqua della palude, una famiglia di soli uomini. Il padre si chiamava Giove; da ragazzo aveva girato per tutta la valle a fare tabernacoli per le chiese. Aveva quattro figlioli: quattro figli soli che aveva tirato su senza l'aiuto della madre, morta la notte della grande alluvione.

giovedì 11 ottobre 2018

"Dogman" di Matteo Garrone


Marcello è un uomo di trent'anni circa, che vive in una desolata zona della periferia romana. Per campare fa il dog sitter, mentre il resto del tempo lo trascorre insieme alla figlia piccola, che ama alla follia. A volte frequenta anche un pessimo amico di nome Simone, un delinquentello senza scrupoli che lo trascina e lo coinvolge nelle sue peggiori malefatte; una di queste, alla quale Mimmo non può sottrarsi perché seriamente minacciato, fa perdere al pover'uomo la libertà e la reputazione...
In questo film si respirano le atmosfere plumbee, deprimenti e senza speranza dell'estrema periferia di Roma; una realtà che è emersa recentemente, grazie al coraggio di alcune inchieste giornalistiche, e che soltanto adesso si sta provando a combattere. L'esito finale della storia simboleggia la solitudine, l'indifferenza, la spietatezza e l'omertà che dominano tra gli abitanti di questi luoghi, condannati a vivere in uno stato di perenne violenza e sopraffazione e, come mostra la pellicola, alcune volte sono quasi costretti a farsi giustizia da sé. Ottimo film di Garrone, coi due attori principali: Marcello Fonte e Edoardo Pesce, che si dimostrano mostruosamente bravi e perfettamente inseriti nelle rispettive parti della vittima e del carnefice. Non è un caso che Fonte sia stato premiato al Festival di Cannes come migliore attore protagonista.

Titolo: Dogman
Nazione: Italia
Anno: 2018
Genere: Drammatico
Regia: Matteo Garrone
Cast: Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Francesco Acquaroli, Alida Baldari Calabria, Gianluca Gobbi, aniello Arena.
Durata: 100 minuti.

lunedì 3 settembre 2018

"Formula Uno - Febbre della velocità" di Ottavio Fabbri


E' un documentario sulla Formula Uno, e visto che uscì nel 1978, parla di quei tempi, che furono eroici per questo sport in particolare; se non per altro, sicuramente per il considerevole rischio che comportava essere alla guida di quei bolidi così pericolosi. Tra i protagonisti di allora c'erano grandi piloti come Niki Lauda, James Hunt, Mario Andretti, Clay Regazzoni, Jody Scheckter, Carlos Reutemann ed Emerson Fittipaldi: tutti intervistati da Sidney Rome, attrice italo-americana che in quegli anni divenne famosa soprattutto in Italia, grazie ad alcuni film e a diverse trasmissioni televisive. Non mancano immagini e racconti della storia della Formula Uno, compresi alcuni incidenti mortali impressionanti. Il film divaga spesso, allargando il campo alle corse automobilistiche più importanti: dalla Mille Miglia alla 24 Ore di Le Mans, dalla 500 Miglia di Indianapolis al Rally; spazio trovano anche competizioni minori e poco conosciute. Molto belle le musiche dei fratelli De Angelis, in particolare la canzone I don't mind about tomorrow. Quanto al regista, Ottavio Fabbri è ricordato anche per aver diretto un altro film documentario che descrive e documenta una famosa tournée di Lucio Dalla, Francesco De Gregori e Ron, avvenuta nell'estate del 1979.

Titolo: Formula Uno - Febbre della velocità
Nazione: Italia
Anno: 1978
Genere: Documentario
Regia: Ottavio Fabbri
Cast: Sidney Rome, Niki Lauda, James Hunt, Mario Andretti, Clay Regazzoni, Jody Scheckter, Carlos Reutemann, Sterling Moss, Eddy Cheever, Riccardo Patrese, Bernie Ecclestone, Colin Chapman, James Coburn, Jene Hackman, Ugo Tognazzi.
Durata: 102 minuti.

CITAZIONE: Dal Far West delle Stock Cars alle maschere impenetrabili degli uomini della Formula Uno: cavalieri medioevali o astronauti? Chi è il pilota dei nostri giorni? Cosa li spinge a rischiare? Ognuno di loro ha delle storie da raccontare, a volte banali, ma che pur sempre hanno una profondità. Il rischio, il coraggio, richiedono motivazioni che vanno al di là della sete di guadagno e della pura incoscienza.

giovedì 30 agosto 2018

"The Post" di Steven Spielberg


Stati Uniti 1971, quando l'esercito americano è ancora coinvolto nella guerra del Vietnam, un quotidiano: il Times, pubblica dei documenti che rivelano delle verità scottanti al riguardo, dimostrando la consapevolezza, da parte delle alte sfere americane, dell'inutilità della missione bellica in Asia. Anche un altro giornale: il Washington Post, viene in possesso dei documenti citati, e non esita a pubblicarli, nonostante sia già intervenuta la corte suprema statunitense a bloccare il ben più prestigioso quotidiano che ha osato sfidare il potere.
Ennesimo capolavoro di Spielberg, che tratta di un argomento sempre attuale: i limiti della libertà di stampa. Questi raccontati dal regista di Schindler's list sono fatti veri, e dimostrano che la storia si ripete ciclicamente, anche se non in maniera identica; viene spontaneo tifare per coloro che parteggiano per una libertà di stampa assoluta, che non può mai subire interferenze, da qualunque parte vengano. Ottimi, nemmeno a dirlo, i due protagonisti del film: Tom Hanks e Meryl Streep, ma bravi anche gli altri attori che contribuiscono non poco a rendere quest'opera quasi perfetta.


Titolo: The Post
Nazione: Stati Uniti
Anno: 2017
Genere: Biografico
Regia: Steven Spielberg
Cast: Tom Hanks, Meryl Streep, Sarah Paulson, Tracy Letts, Bob Odenkirk, Bradley Whitford, Bruce Greenwood, Matthew Rhys, Carrie Coon, Alison Brie, David Cross, Jesse Plemons, Zach Woods, Michael Stuhlbarg, Pat Haley, Jessie Mueller, Deirdre Lovejoy.
Durata: 118 minuti.

sabato 25 agosto 2018

"Un taxi color malva" di Yves Boisset


Tutto si svolge in un villaggio irlandese a due passi dalla costa: lì, una serie di personaggi più o meno ricchi e sfaccendati, trovano vari modi per frequentarsi. C'è un giornalista di mezza età che cerca di riprendersi dalla recente scomparsa del figlio e dalla crisi coniugale conseguente al lutto; un giovane americano di famiglia ricca, anche lui desideroso di dimenticare un periodo difficile; la sorella del giovane, spavalda e superba, che si diverte a provocare e sedurre gli amici del fratello; un signore attempato ed eccentrico, che dice di essere nato in Russia e che vive in un grande palazzo insieme alla figlia apparentemente muta e isolata da tutto e da tutti; un vecchio medico che si aggira per il villaggio con la sua automobile dal colore improbabile (da cui il titolo del film). E la storia si dipana in modo poco credibile, tra battute di caccia, pranzi, incontri nell'unico pub presente nel villaggio, passeggiate ecc. I protagonisti si relazionano tra ubriacature a go go, rapporti sessuali, colpi di scena, confidenze e rivelazioni insospettabili. Alla fine, dopo una serie di scombussolamenti che non portano a nulla, ognuno torna a vivere la propria vita senza drastici mutamenti. Non è un gran film, anche se il principio sembra promettere chissà cosa. Si salvano alcuni dialoghi, i paesaggi bellissimi (su cui il regista purtroppo si sofferma ben poco) e le recitazioni di diversi attori indubbiamente bravi.

Titolo: Un taxi color malva
Nazione: Francia/Italia
Anno: 1977
Genere: Drammatico
Regia: Yves Boisset
Cast: Philippe Noiret, Charlotte Rampling, Peter Ustinov, Edward Albert, Fred Astaire, Agostina Belli, Jack Watson.
Durata: 120 minuti.

CITAZIONE
Si dice che quando l'elefante vecchio sente arrivare la sua ultima ora si distacca dal branco, s'inoltra nella foresta in cerca della pista per il cimitero e solo se è vicino a morire riesce a trovarla; mentre l'uomo che cerca di precedere la propria morte, si sperde nei meandri della vita come se fosse in un labirinto; e per quell'uomo, l'Irlanda - femmina dal grande cuore - sarà sempre una delle cornici più affascinanti.

venerdì 10 agosto 2018

"Garofano rosso" di Luigi Faccini


La storia è ambientata a Siracusa, nell'anno 1924, ovvero poco tempo dopo il delitto Matteotti. Alessio Mainardi è uno studente liceale che s'innamora di una compagna di scuola: Giovanna, ma il suo amore non è ricambiato; dopo alcuni comportamenti di sfida nei confronti dei professori, Alessio viene espulso dall'istituto scolastico, e ne approfitta per fare una breve visita alla casa dei genitori, nell'entroterra siciliano; quindi torna nella città di residenza, dove si rende conto che molte cose, nel frattempo, sono cambiate.
Ispirato al romanzo omonimo di Elio Vittorini, questo film mi sembra un po' troppo lento e, in diverse circostanze, anche poco esplicabile. La scena migliore ed anche fortemente simbolica, è senz'altro quella finale, in cui dei giovani studenti che si trovano in una piazza, smontano una pistola caduta dalla tasca di uno squadrista e poi si salutano col pugno alzato. Non se la cava male il giovane Miguel Bosé nel ruolo del protagonista, anche se a volte dà l'impressione di essere troppo inespressivo ed eccessivamente imbambolato; buona la recitazione di Elsa Martinelli e piacevole, seppure fugace, la presenza di Marina Berti. Il regista, ovvero Luigi Faccini, riesce a rievocare in modo egregio il periodo storico della vicenda, come farà ancora in un altro film di quattro anni dopo: Nella città perduta di Sarzana. Non convenzionale la scelta di affidare la colonna sonora al Banco del Mutuo Soccorso, le cui musiche si dimostrano adeguate alle varie scene cruciali del film.


Titolo: Garofano rosso
Nazione: Italia
Anno: 1976
Genere: Drammatico
Regia: Luigi Faccini
Cast: Miguel Bosé, Elsa Martinelli, Denis Karvil, Marina Berti, Carlo Cabrini, Maria Monti, Giuseppe Atanasio, Marisa Mantovani, Giovanni Rosselli, Giovanna Di Bernardo, Alberto Cracco, Isa Barzizza.
Durata: 113 minuti.

martedì 7 agosto 2018

"Il testimone deve tacere" di Giuseppe Rosati


Il film si apre con l'omicidio di un commissario di polizia per mano di un sicario agli ordini di un ingegnere indagato per alcune speculazioni edilizie. Mentre l'ingegnere e il killer stanno fuggendo dal luogo del delitto a gran velocità in un'automobile, sbandano e impattano il bordo della strada; un medico che si trova a passare lì per caso, presta i primi soccorsi ai due incidentati e fa in modo che l'ingegnere, unico sopravvissuto all'impatto, possa riprendersi velocemente; quindi si allontana per avvertire le forze dell'ordine sull'accaduto, ma quando ritorna con i poliziotti sul luogo dell'incidente, non trova più nulla. Da quel momento nasceranno una serie di guai che coinvolgeranno direttamente il povero e onesto testimone. Malgrado la critica lo abbia stroncato, questo film non è affatto da buttare, e tratta un argomento difficile, attinente al potere occulto di certi personaggi importanti, che possono permettersi il lusso di far fuori anche rappresentanti delle forze dell'ordine, rimanendo impuniti. Del fatto che in Italia si siano verificati e si verifichino ancora episodi come quello raccontato in questo film, non posso esserne sicuro, ma la storia lontana e recente del nostro paese, fatta di stragi, omicidi, intimidazioni, attentati e quant'altro, mi fa fortemente sospettare che questa vicenda non sia così lontana dalla realtà. Bravi gli attori, a partire da Bekim Fehmiu, che si ricorda soprattutto per la sua interpretazione di Ulisse nella celebre serie TV L'Odissea, trasmessa dalla Rai parecchi anni fa; buone prove anche per Aldo Giuffrè, Rosanna Schiaffino e Romolo Valli (quest'ultimo ricopre una piccola parte, ma come al solito lascia il segno). Belle le musiche di Francesco De Masi. Quanto al regista, Giuseppe Rosati ebbe una certa fama a metà degli anni '70, grazie ad alcuni polizieschi di buona fattura come questo e il successivo La polizia interviene: ordine di uccidere! (1975).

Titolo: Il testimone deve tacere
Nazione: Italia
Anno: 1974
Genere: Poliziesco
Regia: Giuseppe Rosati
Cast: Bekim Fehmiu, Aldo Giuffrè, Rosanna Schiaffino, Elio Zamuto, Guido Leontini, Guido Alberti, Franco Ressel, Daniele Vargas, Claudio Nicastro, Barbara Betti, Guido Alberti, Luigi Pistilli.
Durata: 100 minuti.

CITAZIONE
Qui finisce la mia storia, quella del dottor Giorgio Sironi... Ogni riferimento a fatti, nomi, luoghi, è puramente casuale. Ci scusiamo quindi con chi volesse identificarsi in uno dei vari personaggi. La morale però resta... come l'onestà silenziosa (quella che più conta) di cittadini, di uomini politici, di magistrati, di tutori dell'ordine, che coraggiosamente ogni giorno continuano a difendere il nostro stato democratico!

mercoledì 1 agosto 2018

"Assassinio sul ponte" di Maximilian Schell


In un mattino nebbioso di novembre, a due passi da una città della Svizzera viene trovato il cadavere di un poliziotto. Si scoprirà che l'uomo è stato vittima di un omicidio, e che intorno all'atto criminoso gravitano due personaggi: un commissario di polizia e un trafficante d'armi, che si conobbero trent'anni prima. Non è un film eccezionale, ma possiede dei pregi. Si rifà ad un famoso romanzo: Il giudice e il suo boia di Friedrich Dürrenmatt. Alcune peculiarità della pellicola risultano piuttosto curiose: Donald Sutherland fa una piccola parte, e lo si vede già morto all'inizio del film o in qualche foto; il protagonista principale è il regista Martin Ritt, che diresse lungometraggi indimenticabili come Nel fango della periferia e Norma Rae; qui, nei panni di un commissario, non sfigura affatto. Altra particolarità del film è la regia di Maximilian Schell: decisamente più famoso come attore, che pure se la cava nella insolita veste di direttore. Belle e malinconiche le musiche di Ennio Morricone; suggestivi i paesaggi elvetici, quasi sempre avvolti nella nebbia novembrina.


Titolo: Assassinio sul ponte
Nazione: Germania
Anno: 1975
Genere: Giallo
Regia: Maximilian Schell
Cast: Martin Ritt, John Voight, Jaqueline Bisset, Robert Shaw, Gabriele Ferzetti, Friedrich Dürrenmatt, Willy Huegli, Wieland Liebske, Rita Calderoni, Donald Sutherland.
Durata: 98 minuti.

giovedì 26 luglio 2018

"Irene Irene" di Peter Del Monte


Parla di un giudice ormai sulla sessantina, che, dopo una giornata lavorativa come un'altra, torna a casa (abita a Firenze) e non trova più la moglie Irene, che è andata via lasciandogli una lettera in cui confessa tutte le sue problematiche ed i suoi tormenti, concludendo che partire è l'unico modo rimastogli per sopravvivere. A questo punto il giudice entra in una crisi profonda, spirituale e fisica. Il suo medico gli consiglia di prendersi un periodo di riposo e lo spinge ad andare in una clinica sui laghi, dove un ambiente tranquillo e una clientela particolare lo aiuterebbero a superare la momentanea défaillance. Il giudice accetta, e in quel luogo di cura fa amicizia con una giovane donna, anche lei afflitta da problemi seri. Ma la parentesi dura poco, e il giudice ritorna a casa. Prova a riprendere il lavoro ma non ci riesce, e allora fa visita al figlio Silvano che vive a Roma con la moglie e due bambine; qui Boeri - questo è il cognome del protagonista - trova nella nuora una persona con cui confidarsi, che riesce anche a comprenderlo e a consolarlo. All'improvviso, mentre il giudice è a cena con la famiglia di Silvano, giunge la notizia che Irene è morta. Il giudice, insieme al figlio e alla nuora, si reca a Cividale: luogo dove Irene è nata ed ha trascorso la gioventù, per assistere ai suoi funerali; qui, per il breve tempo nel quale vi soggiorna, Boeri cerca tutte le persone più care e vicine a Irene, domandandogli notizie di lei. Poi torna di nuovo a casa, sempre più pensieroso e incapace di continuare a vivere. Un giorno, mentre sta viaggiando nello scompartimento di un treno, muore. La nuora - ovvero l'unica persona a cui stava a cuore la sorte del giudice - torna nella casa dei due scomparsi e legge le lettere che si erano scritte qualche mese prima di morire. Poco conosciuto, girato da un regista ancora giovane, questo film partecipò al Festival Cinematografico di Venezia, ottenendo ampi consensi dalla critica. E' una vicenda dal ritmo lento, fatta di lunghi silenzi, colloqui a bassa voce, espressioni estatiche e paesaggi immersi nel grigiore. Ma è anche un film psicologico, dove il protagonista: un magistrato tutto d'un pezzo, che va avanti basandosi sulle sue certezze acquisite che sono la famiglia, il lavoro e la legge, improvvisamente crolla a causa di un evento totalmente inatteso: la fuga della moglie Irene. I suoi successivi tentativi di ritrovare il bandolo della matassa e di ricominciare una nuova vita saranno inutili, e la morte avvenuta in modo apparentemente naturale sarà l'unico modo di superare una crisi intollerabile e irrimediabile. Irene, ovvero la moglie del giudice, nel film non si vede mai. Molto bella è la scena del sogno di Boeri, che assomiglia ad un quadro e in parte ricorda gl'incubi di Isak Borg nel celebre film Il posto delle fragole. Perfetto nella parte del protagonista è l'attore francese Aalain Cuny; eccellente l'interpretazione di Sibilla Sedat nel ruolo della giovane malata, soprattutto nei momenti in cui assume degli sguardi totalmente assenti. Da ricordare la presenza, seppure in una parte poco importante, di Maria Michi: un'attrice che comparve in film memorabili del neorealismo, come Roma città aperta e Paisà.



Titolo: Irene Irene
Nazione: Italia
Anno: 1975
Genere: Drammatico
Regia: Peter Del Monte
Cast: Alain Cuny, Olimpia Carlisi, Sibilla Sedat, Vania Vilers, Paola Barbara, Francesco Carnelutti, Maria Michi, Laura De Marchi, Carlo Hintermann, Riccardo Mangano, Dieter Kopp, Antonio Francioni, Emanuela Barattolo, Biagio Pelligra.
Durata: 105 minuti.

CITAZIONE
   Caro Silvano
Sto bene, non c'è da avere preoccupazioni di sorta. Sono tornato a casa ma non al lavoro; il motivo ufficiale è che ho ancora bisogno di riposo, ma la realtà è diversa: sono inquieto, perfino confuso. Da quando tua madre se ne è andata stanno maturando in me sentimenti nuovi, che ancora non riesco a definire; di fronte ad essi mi sento impreparato, smarrito; non è stanchezza la mia, né solo inquietudine per la perdita di un caro modo di vivere: non ritrovo più la mia serenità; quell'armonia che ho spesso trovato e realizzato nella mia vita si è perduta. Non è la prima volta che si fa strada in me uno stato irritante di attesa, l'angosciosa sensazione di domande senza risposta. Ho sempre avuto il conforto di un passato e un presente di realizzazioni affettive alle quali fino a ieri potevo rivolgermi senza timori, con la coscienza di aver operato conformemente a idee giuste faticosamente conquistate, ma queste certezze vengono meno ogni giorno di più, e lo sgomento che mi ha preso da quando Irene se n'è andata, cresce. M'iscrivo a te, che d'Irene sei il figlio.

lunedì 23 luglio 2018

"Domenica, maledetta domenica" di John Schlesinger


Forse è stato uno dei primi film ad occuparsi di argomenti allora ritenuti scabrosi, e non meraviglia il fatto che il regista sia il britannico John Schlesinger, autore, due anni prima di questo, di un altro lungometraggio "scandaloso": Un uomo da marciapiede, grazie al quale ottenne l'oscar come miglior regia. Malgrado si fosse già trasferito negli USA da alcuni anni, per girare Domenica, maledetta domenica Schlesinger tornò nel suo paese nativo, forse perché negli Stati Uniti ancora non c'era abbastanza libertà da garantirgli il consenso della censura; d'altronde, nel medesimo anno, anche il grande Stanley Kubrick andò in Inghilterra a girare il memorabile Arancia meccanica. Il film parla della doppia relazione di un giovane artista con una donna divorziata più grande di lui e con un medico di origine ebraica; in questo inusuale triangolo il giovane si districa dedicando un po' di tempo a ciascuno dei suoi amanti, fino al giorno in cui decide di trasferirsi a New York, abbandonandoli entrambi. I protagonisti della pellicola sono, più che il ragazzo, i due attempati spasimanti. Si rimane colpiti favorevolmente dai risvolti psicologici, dagli episodi più o meno intensi che si susseguono nelle due settimane in cui si svolge la vicenda, e dall'umanità dei personaggi principali. Mirabili le interpretazioni di Peter Finch e di Glenda Jackson, che pure si trovano a recitare insieme soltanto nel finale del film; ottima la regia di Schlesinger.



Titolo: Domenica, maledetta domenica
Nazione: Gran Bretagna
Anno: 1971
Genere: Drammatico
Regia: John Schlesinger
Cast: Peter Finch, Glenda Jackson, Murray Head, Peggy Ashcroft, Maurice Denham, Tony Britton, Bessie Love, Vivian Pickles, Frank Windsor.
Durata: 108 minuti.

CITAZIONE
Quando uno va a scuola e si lamenta, tutti gli dicono: «Vedrai quanto è peggio la vita!» Io non volevo crederci, e avevo ragione; a quell'età non vedevo l'ora di diventare grande. E dicevano: «La fanciullezza è l'epoca migliore della vita», ma non è vero... Adesso che voglio la sua compagnia loro dicono: «Dato che devi dividerlo, meglio non averlo affatto», e io dico: «Sì, questo lo so, ma mi manca. Ecco tutto»; loro dicono: «Non ti ha mai reso felice», e io dico: «Ma io sono felice, a parte che mi manca». Diciamo che è come se avessi un po' di tosse... In tutta la vita ho sempre cercato una persona coraggiosa, piena di risorse: lui non lo è, però è qualcosa; noi eravamo qualcosa... è solamente un po' di tosse.

martedì 17 luglio 2018

"La messa è finita" di Nanni Moretti


La messa è finita è stato il film che, per la prima volta, mi ha fatto apprezzare il cinema di Nanni Moretti. Prima di questa, non avevo mai visto interamente alcuna opera del cineasta romano; quando, all'uscita nelle sale, vidi i trailer del lungometraggio, fui molto sorpreso di trovare l'attore-regista nei panni di un religioso, poiché, fino ad allora, quei panni non mi parevano consoni al suo pensiero. Ma appena cominciai a vedere il film, subito mi resi conto di come li vestisse perfettamente, quei panni, e quanto fosse interessante e coinvolgente la storia di quel parroco che, trasferitosi da un'isola ad una parrocchia posta all'interno del quartiere dove era nato, e dove risiedevano ancora i suoi familiari ed i suoi amici, prova in tutti i modi a rendersi utile, ad aiutare e ad amare le anime della sua comunità, non riuscendovi mai. Trova, infatti, un mondo che non riconosce più, pieno di persone che hanno scelto strade sbagliate, che mostrano un'indifferenza totale ai tentativi del sacerdote di dissuaderli dai loro propositi; un mondo, alla fine, dove dominano l'egoismo, il menefreghismo, la stupidità, la falsità e la prepotenza. Ma il religioso non si arrende facilmente allo stato delle cose, e reagisce in modo rabbioso, provandole tutte per cambiare delle situazioni che non può tollerare, come la relazione extraconiugale dell'anziano padre; l'intenzione di abortire della sorella; la scelta d'interrompere qualunque relazione sociale dell'amico ecc. Però, malgrado gli estremi sforzi, il sacerdote finirà per rassegnarsi al fatto che gli è impossibile porre qualunque rimedio alle scomode e spiacevoli realtà del suo quartiere; il suicidio della madre sancisce il suo fallimento totale, e costringe il prete a dire addio alla sua gente. Se non è il più bello, è senz'alto tra i migliori film di Moretti; possiede molte qualità, anche decisamente differenti tra loro: è nello stesso tempo profondo e spassoso, drammatico e comico, accusatorio e compassionevole. Insieme a Bianca, uscito due anni prima, La messa è finita rappresenta sicuramente una svolta nella cinematografia di Moretti, che, nei primi film, non si era mai cimentato in vicende che avevano risvolti altamente drammatici. E' anche una chiara accusa nei confronti della società moderna, che disumanizza chiunque, causando incomunicabilità e, di conseguenza, solitudine. E, poiché è evidente che nella solitudine diventa quasi impossibile trovare un minimo di felicità, il regista-sacerdote esorta i suoi conoscenti alla vita in comunità, malgrado le difficoltà che quest'ultima comporti, perché è solo stando insieme agli altri che è possibile gioire, amare e vivere serenamente; quindi ammonisce tutti coloro che scelgono di vivere da soli. Dopo aver visto questo film, volli approfondire l'intera produzione cinematografica di Moretti, e perciò cercai tutte le pellicole che non avevo ancora visto o che avevo visto solo parzialmente, scoprendo l'enorme talento dell'attore e regista romano, che da quel momento seguii costantemente, ogniqualvolta uscisse nelle sale un suo nuovo film. Sembra strano, ma La messa è finita, in quanto a premiazioni, ottenne soltanto il Leone d'argento al festival di Berlino. Certamente avrebbe meritato molto di più.



Titolo: La messa è finita
Nazione: Italia
Anno: 1985
Genere: Drammatico
Regia: Nanni Moretti
Cast: Nanni Moretti, Ferruccio De Ceresa, Marco Messeri, Margarita Lozano, Eugenio Masciari, Enrica Maria Modugno, Dario Cantarelli, Vincenzo Salemme, Luisa De Santis, Pietro De Vico, Roberto Vezzosi, Luigi Moretti.
Durata: 94 minuti

CITAZIONE
"Parto, vado molto lontano, in un posto dove c'è un vento che fa diventare pazzi e dove hanno bisogno di un amico. Qui non ci posso più stare, e per voi mi sono reso conto che non posso fare nulla; ho provato, ma non ce l'ho fatta. Spero sarete capaci di perdonarmi. La mia vita è bella, perché sono stato molto amato; io sono un uomo fortunato".

mercoledì 27 giugno 2018

"Il gatto" di Luigi Comencini


Circa un anno prima de L'ingorgo, il regista italiano Luigi Comencini ultimò un altro bel film: Il gatto, che rientra in pieno nel filone della "commedia all'Italiana". Il successo che ebbe il lungometraggio, sicuramente meritato, fu anche dovuto alla presenza dei due straordinari protagonisti: Ugo Tognazzi e Mariangela Melato, compianti attori, che in quegli anni girarono una serie di film indimenticabili. La storia si svolge a Roma, dove due fratelli: Amedeo e Ofelia Pegoraro, gestiscono come proprietari un vecchio condominio abitato da diversi affittuari; i due, però, avendo ricevuto da una società l'offerta di un miliardo di lire in cambio del palazzo, ed essendo questa offerta condizionata dal fatto che l'edificio debba rimanere completamente vuoto, cercano in tutte le maniere possibili di sbarazzarsi dei condomini presenti (alcuni già avevano abbandonato gli appartamenti). Da questi tentativi nascono una serie di situazioni imprevedibili, che coinvolgono un po' tutti gli abitanti del vecchio palazzo. Il titolo, lo si deve all'animale posseduto da Amedeo ed Ofelia, che, risultando molesto per i vari furti di cibo perpetuati all'interno degli appartamenti, diviene un bersaglio continuo fino al momento in cui muore, dopo aver mangiato della carne avvelenata. Naturalmente il felino è solo un pretesto, che servirà a dare il via a una serie di reazioni a catena che coinvolgeranno anche le forze dell'ordine; omicidi misteriosi, spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, sospetti di infiltrazioni mafiose e altro ancora saranno di prassi all'interno delle case dei condomini: tutti o quasi coinvolti e scovati con i loro scheletri nascosti negli armadi. Alla fine, quando i due tenacissimi fratelli saranno riusciti a liberarsi di tutti i condomini, una sorpresa imponderabile lascerà a bocca aperta Amedeo ed Ofelia, che si vedranno sfilare dalle mani il foglio del contratto già firmato. A dire il vero, questo film presenta troppe situazioni eccessive, che lo fanno allontanare dalla realtà; sarebbe infatti impossibile trovare, all'interno di un palazzo, una così numerosa serie di eventi clamorosi che si susseguono in brevissimo tempo. Con tutto ciò, la vicenda si fa comunque apprezzare per i continui colpi di scena, le trovate comiche e, come già detto, per la maestria di due attori-mostri come erano Tognazzi e la Melato; a proposito di quest'ultima, trovo che in questa pellicola risulti anche particolarmente affascinante, più di Dalila Di Lazzaro, che, pure, allora era una delle attrici cinematografiche più belle in circolazione. Tra gli altri attori del cast, spicca il francese Michel Galabru nel ruolo del commissario, soprattutto quando assume delle espressioni sconcertate e preoccupate di fronte ai due imprevedibili fratelli, capaci perfino di dare degli ordini ai poliziotti e di prendere delle iniziative inusuali nelle indagini di vari fatti delinquenziali. Si tratta, insomma, di un film da vedere, che ho scoperto in tempi piuttosto recenti e che ho rivisto volentieri qualche settimana fa. 


Titolo: Il gatto
Nazione: Italia
Anno: 1977
Genere: Giallo/Commedia
Regia: Luigi Comencini
Cast: Ugo Tognazzi, Mariangela Melato, Dalila Di Lazzaro, Michel Galabru, Philippe Leroy, Jean Martin, Adriana Innocenti, Bruno Gambarotta, Aldo Reggiani, Mario Brega. 
Durata: 115 minuti.

martedì 29 maggio 2018

"L'ingorgo" di Luigi Comencini

Ho visto, in tempi piuttosto recenti, due film di Luigi Comencini (Salò 1916 - Roma 2007) usciti nelle sale italiane durante la seconda metà degli anni '70. Penso che, il regista salodiano, insieme a Dino Risi, rappresentasse in quel preciso momento il meglio della cosiddetta "Commedia all'italiana": un genere cinematografico nato alla fine degli anni '50, in cui ben s'inseriscono capolavori come I soliti ignoti, Il sorpasso e La voglia matta; Comencini , già allora si dimostrò un seguace e un esponente di questa sorta di scuola, che si affermò grazie all'estro di alcuni cineasti italiani, ma, ancora di più, grazie alla bravura non indifferente di attori come Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni e Walter Chiari: una generazione di talenti irripetibile che in tantissimi (io compreso) ricordano con grande nostalgia. Il film di cui voglio parlare è L'ingorgo; uscì nel 1978, e vanta, nel suo cast, la presenza di stelle cinematografiche come Alberto Sordi, Fernando Rey, Marcello Mastroianni, Angela Molina, Gerard Depardieu, Stefania Sandrelli, Ugo Tognazzi, Ciccio Ingrassia e Annie Girardot. L'argomento della pellicola, come spiega il titolo, è la situazione particolare che si crea in seguito ad un gigantesco ingorgo: centinaia e centinaia di persone in viaggio bloccate su una strada di scorrimento per un tempo spropositato; un'emergenza, quindi, che col passare del tempo scatena, in chi ne è coinvolto, comportamenti isterici, bizzarri, disperati e quant'altro. L'occasione di un evento come questo, che, all'epoca in cui uscì il film era piuttosto frequente, è colta da Comencini per mettere sotto la lente d'ingrandimento un campionario della società italiana di allora. Perciò, durante la prima parte del lungometraggio, assistiamo ad una serie di colloqui che coinvolgono i passeggeri di alcune automobili imbottigliate: una coppia che va a festeggiare le nozze d'argento; una famiglia dell'Italia meridionale che si reca a Roma; un imprenditore col suo cavalier servente che è appena ritornato da un viaggio in Africa; un camionista che trasporta confezioni di cibo per bambini; una ragazza con la chitarra; un giovane elegante che sta andando dalla fidanzata; un'ambulanza che trasporta un incidentato in condizioni molto serie; quattro guardie del corpo; tre giovani teppistelli; un attore famoso col suo autista; un professore insieme a una giovane coppia e tanti altri ancora. Sono personaggi assai diversi fra loro, per età, classe sociale, istruzione, provenienza e comportamenti. Ciò che viene messo più in risalto dall'analisi collettiva di quest'umanità variegata, è un generale cinismo, una quasi totale assenza di valori, una violenza trattenuta a stento che esplode improvvisamente, un menefreghismo senza limiti, una allarmante mancanza di rispetto per il prossimo, una cattiveria compiaciuta. Pochissimi sono a salvarsi da questo deprimente contesto di regressione comportamentale, che l'ingorgo fa venir fuori in modo palese. C'è, ogni tanto, qualche spunto comico, ma la caratteristica principale del film si trova al di fuori della commedia: è, sostanzialmente, un'accusa alla società dei consumi, che, nel corso di un ventennio ha peggiorato in maniera lampante e deprimente i comportamenti degli italiani, rendendoli più egoisti e quasi incapaci di solidarietà, soprattutto in situazioni particolari quali sono gl'ingorghi. Ed è qui che si nota un individualismo spropositato, tale da spingere ognuno a pensare a sé, fregandosene di tutti gli altri; anzi, in certi casi gli altri divengono un mezzo per soddisfare i propri istinti o per migliorare la propria situazione. L'ingorgo assume, a mio avviso, anche un significato simbolico, riferito ad una situazione di stallo e d'impaludamento delle coscienze nazionali. Questo film lo vidi per la prima volta un po' di anni fa, già in ritardo rispetto all'anno di uscita; ricordo che mia madre lo evitava accuratamente ogni qual volta venisse trasmesso in televisione, perché, diceva, di essere stata vittima più di una volta di questi terribili ingorghi, e quindi, quel film gli ricordava spiacevoli momenti che voleva dimenticare. L'ingorgo è sicuramente un bel film: mi piacque alla prima visione e mi piace tutt'ora: ha più di un elemento che può essere benissimo riportato alla società attuale, che però, se il film fosse rigirato oggi, dovrebbe essere ritratta in modo peggiorativo, perché ancor più imbruttita da un astio verso tutto e verso tutti, accumulato in anni e anni di crisi economica e sfociato in fenomeni preoccupanti come il razzismo, la xenofobia, l'invidia sociale e il populismo.

Titolo: L'ingorgo 
Nazione: Italia 
Anno: 1979
Genere: Grottesco
Regia: Luigi Comencini
Cast: Alberto Sordi, Angela Molina, Marcello Mastroianni, Frnando Rey, Annie Girardot, Ugo Tognazzi, Stefania Sandrelli, Gerard Depardieu, Miou-Miou.  
Durata: 128 minuti.
Citazione:
Noi ti ringraziamo, Signore per aver chiamato a te e accolto nel tuo seno quest'uomo, togliendolo dai disastri del mondo. 
Salvaci o Signore. 
Salvaci dalla plastica. 
Salvaci dalle scorie radioattive. 
Salvaci dalla politica di potere. 
Salvaci dalle multinazionali. 
Salvaci dalla ragione di stato 
Salvaci dalle parate, dalle uniformi e dalle marce militari. 
Salvaci dal disprezzo per i più deboli. 
Salvaci dal mito dell'efficienza e della produttività. 
Salvaci dai falsi moralismi. 
Salvaci dalle menzogne e dalla propaganda. 
Rispettate la natura. 
Amate la vita. 
Congiungetevi carnalmente nel rispetto del prossimo: fornicare non è peccato se fatto con amore. 
Amen.